“VESTO DI NERO PER I POVERI E GLI SCONFITTI….(E) PER IL CARCERATO CHE PAGA IL PREZZO DI UNA LEGGE FATTA SU MISURA PER IL POTERE” (Johnny Cash)
Trad. dalla versione spagnola di The man in black
Il seguente testo è stato redatto da persone differenti, appartenenti all’area della Sinistra cercano di fare il punto sul contro-summit tenutosi il 2 giugno 2007 a Rostock in Germania.
Una cosa peró ci accomuna tutti,il desiderio di RIVOLTA, che puó essere agito in molti modi, tutti egualmente degni di rispetto.
Non ci interessano denunce o pubbliche accuse. Questo testo vuol essere una raccolta di critiche positive e negative su noi stessi e su coloro con i quali negli ultimi due anni e mezzo, abbiamo lavorato ad un (concetto) progetto di rivolta.
La manifestazone del 2 giugno 2007 a Rostock
La manifestazione del 2 giugno a Rostock è stata un successo. Non nonostante, ma grazie, al Blocco Nero e alla massiccia collaborazione degli altri differenti Gruppi di manifestanti.
Le reazioni alle cariche della polizia, l’attacco alla Cassa di Risparmio, ecc. sono immagini di una inequivocabile critica radicale
La protesta non é stata solo l’espressione della rabbia di fronte all’arroganza del potere, nascosta dietro l’aumento della repressione da parte dello stato;ne sono alcuni chiari esempi: la catena di perquisizioni del 9 maggio 2007, le massiccie limitazioni del diritto di manifestare espresse chiaramente dal divieto di parteciparvi a volto coperto, le continue riprese video dei, manifestanti, i reparti speciali della polizia incaricati degli arresti, il sequestro degli striscioni, il controllo dei documenti prima delle manifestazioni ecc.
Essa é stata semmai atto di rivolta, evento incontrollabile da parte della polizia e degli apparati statali.
Questi atti hanno avuto lo scopo strategico di disturbare e bloccare gli incontri dei potenti (WTO, G8, IWF) sino a renderli impraticabili.
Il primo effetto immediato delle proteste alla conferenza del WTO a Seattle 1999, all’incontro del Fondo Monetario Internazionale/Banca Mondiale a Praga 2000 e al summit dei G8 di Genova 2001, é stata la decisione dei rappresentanti dei G8 di riunirsi lontano dai grossi centri urbani in modo da indebolire le possibilitá di resistenza.
Come dire che se continuiamo la nostra resistenza con i numeri e l’intensitá degli ultimi anni, gli incontri del G8 finiranno per tenersi solo in alta montagna, in Antartide o addirittura si terranno solo in forma virtuale.
Molti attivisti si sono uniti al gruppo denominato „make capitalism history“ organizzato dalla Sinistra Interventista (IL). Si trattava di uno spezzone radicale formato da gruppi autonomi e anarchici. Col senno di poi si puó dire che il carattere militante di questo gruppo ha catalizzato e facilitato le azioni svoltesi durante la giornata. Carattere che risaltava chiarissimo dai molti manifesti di mobilitazione della IL ritraenti manifestanti con caschi di protezione e a volto coperto.
Giá durante ma soprattutto dopo gli attacchi alle forze dell’ordine e alle banche, rappresentanti di organizzazioni differenti che pur avevano partecipato all’organizzazione dei blocchi e delle manifestazioni attesi per i giorni successiv, hanno cercato disperatamente di prendere le distanze da queste forme di lotta. Unendosi al coro della stampa ufficiale , hanno cercato di depoliticizzare quegli atti di resistenza militante. Il risultato é stato che i. media non hanno parlato che di “violenza”( accettabile come si sa solo da parte dello stato). Alla fine niente di nuovo sotto il sole , e da giornali come Spiegel FAZ eTAZ non ci si puó aspettare null’altro. In questo modo peró le dichiarazioni del gruppo “make capitalism history” sono state per giorni completamente ignorate.
La mania di distanziarsi di alcuni dei portavoce di ATTAC non é stata una sorpresa. Importante invece, é stato che nel dibattito avvenuto subito dopo, durante la seduta plenaria di ATTAC al Rostock Camp il lunedí, la base di ATTAC ha rifiutato la proposta partita dal vertice e segnatamente dai coordinatori: Peter Wahl, Pedram Shahyar e Sabine Leidig di organizzarsi in un gruppo distaccato dal resto del coordinamento Block G8, gruppo che avrebbe dovuto muoversi in pieno accordo con la polizia.
Quello che invece ci ha amaramente sorpreso sono state le differenti posizioni espresse da esponenti della sinistra radicale. Ci riferiamo in particolar modo alle dichiarazioni rese da Christoph Kleine (IL, AVANTI e portavoce del coordinamento Block G8) sul fatto che “i manifestanti non erano che un mucchio di hooligans formato da ragazzetti del posto piú qualche testa calda venuta dall’estero” (Die Welt 04/06/07)
Indubbiamente di carattere ancor piú diffamatorio la teoria per principianti espressa da Monty Schaedel (direttore del DFG-VK organizzazione dell’obiezione di coscienza al servizio militare e coorganizzatore della manifestazione); che ha comparato la manifestazione del 2 giugno alle immagini del pogrom di Rostock del 1992:
“Il piú grosso fallimento é che noi di sinistra possiamo ora essere associati ad immagini simili a quelle del 1992 durante il pogrom occorso qui a Rostock contro un centro per richiedenti asilo politico.Proprio ció che in nessun modo abbiano voluto, cercato e che sicuramente non ci possiamo perdonare.” (ZDF 03/06/07, link su Indymedia per l’intervista in streaming 03/06/07)
Persino uno dei portavoce di IL, Tim Laumeyer del gruppo ALB ( gruppo berlinese della sinistra radicale antifascista), ha tentato di distanziarsi dagli eventi con scuse puerili : “alla fine la situazione ci é sfuggita di mano in un modo che non desideravamo e che condanniamo” (Junge Welt 05/06/07) o “i vandali erano solo una esigua minoranza ,siamo contro la violenza” (Berliner Morgenpost 04/06/07) e ancora “non si dovrá mai piú verificare una escalazione come a Rostock” (Vanity Fair 06/06/07).
Qui non si tratta meramente di distanziarsi politicamente da un fatto, questo linguaggio ricalca in tutto e per tutto quello del potere e serve a depoliticizzare le azioni commesse usando per esempio il termine “vandali”. Interessante é stato peró ossevare che se i portavoce di IL facevano a gara per prendere le distanze da ció che stava accadendo un parte consistente della base prendeva parte ai riots. Da allora sono comparse numerose scuse e spiegazioni per i tentativi di distanziarsi (es.: ALB,05/06/07).
Amici come prima insomma.
A noi, la scusa adottata da questi individui di essere stati completamente frastornati dalla pressione dei media sembra piuttosto insufficiente. Ció che importa ora peró, è soprattutto riflettere su come sia possibile partecipare a forum con spettro politico molto ampio che arrivano a contenere gruppi strettamente legati alla media borghesia, senza che questi gruppi debbano soccombere alla logica che li forza a distanziarsi dalle tecniche di lotta piú radicali.
Gli eventi hanno dimostrato che aver evitato la discussione sulla militanza politica in fase organizzativa è stato un grosso errore. Ció vale soprattutto per noi Autonomi.
Lottare perché vengano accettate le nostre posizioni anti-statali, cosí come la logica della resistenza militante sono per noi battaglie fondamentali, perché portano con loro il riconoscimento di quanto siano violente le realtá di scontro che viviamo.
Perché parlare seriamente delle logiche razziste sottostanti le regole dei confini degli stati, il carattere spietato dello sfruttamento capitalista, le guerre di aggressione, significa fare resistenza militante. Ma è anche ovvio che si tratta solo di resistenza simbolica. Tirare pietre contro delle vetrine o contro sbirri dalle armature iperboliche non significa necessariamente distruggere il capitalismo, si tratta peró di un messaggio non equivocabile contro un sistema che non tiene in alcun conto gli esseri umani. Niente di piú niente di meno.
Con le migliori intenzioni ma anche dire che “gli sbirri hanno iniziato” significa prendere le distanze.
Sappiamo benissimo che la polizia ha molte tecniche per manipolare le situazioni: agenti provocatori, cariche basate su futili motivi (come l’uso di berretti da baseball neri o anfibi neri), o il semplice inventarsi qualcosa. Tutto ció è stato presente anche a Rostock.
Aggiungiamo a questo la presenza di media che credono e propagano qualsiasi demente dichiarazione della polizia: “durante la manifestazione sarebbero stati feriti 400 sbirri di cui 30 in modo grave”- piú tardi si verifica che gli sbirri feriti erano in tutto 30 di cui 2 in modo grave. Supposti attacchi con sostanze acide da parte del Rebel Clown Army, si trattava in realtá dell’acqua saponata per fare le bolle di sapone, appunto. La polizia che nega recisamente di aver usato agenti provocatori anzi dichiara addirittura “non vi sono agenti in borghese nella manifestazione”; lo stesso giorno peró, una serie di video girati da persone differenti ci fanno vedere un ufficiale della polizia di Brema vestito di nero che si aggira tra i manifestanti.
Vi sarebbero innumerevoli altri esempi da portare, ma il fatto che siano spesso gli sbirri ad attaccare non puó essere una scusa usata in ogni manifestazione per spiegare gli atti di resistenza militante.
Non dobbiamo scusarci per il fatto di mettere sotto accusa il monopolio statale della violenza. Volevamo attaccare a Rostock e l’abbiamo fatto anche se forse non nei modi e nei tempi che ci saremmo aspettati. Giá nel 1999 durante le proteste contro il summit del WTO a Seattle, citate e ammirate da tutto il movimento anti globalizzazione, un collettivo anarchico (ACME) aveva pubblicato un volantino (il cosiddetto Black Block Communique) intititolato “Peasant revolt” in cui venivano descritte dettagliatamente le ragioni e la legittimitá dell’attacco a simboli capitalisti,- per esempio tramite la distruzione di vetrine – come Bank of America, US Bancorp, GAP, Starbucks, McDonalds, Nike town, Levi`s ecc.
Finalmente un pó di critica costruttiva.
Altre critiche sono piú importanti per noi delle prese di distanza. Sí non tutto è andato bene a Rostock. Per esempio, sarebbe stato molto meglio se il gruppo “make capitalism history” non si fosse immediatamente disperso al termine della manifestazione eprima ancora dell’attacco delle unitá speciali della polizia berlinese, ma fosse rimasto unito e si fosse diretto risolutamente verso il centro della cittá. Lí ci sarebbero stati innumerevoli simboli capitalisti da attaccare e meno persone “innocenti” messe in pericolo. Ma ció non è stato né voluto né pianificato. Molto piú tardi c’è stato un tentativo attuato da un centinaio di manifestanti a volto coperto di entrare in centro cittá…sono arrivati solo alla prima banca che è stata peró distrutta.
Col senno di poi possiamo dire che ci è mancato un punto di “ritrovo” da cui riorganizzarci e ripartire per altre azioni.
Molte critiche ha suscitato anche l’attacco alla solitaria macchina della polizia, almeno con quelle modalitá (http://www.youtube.com/watch?v=yDqThVpulAM) in quanto, dopo la rottura dei vetri, l’azione è continuata contro i due indifesi (senza casco e senza armatura) ufficiali di polizia che si trovavano nella macchina. Ovviamente ció ha causato loro delle ferite piuttosto serie. Alcuni di noi pensano che questo superi i limiti della legittimitá della militanza perché ferire gravemente poliziotti, non è lo scopo delle nostre azioni.
Durante i successivi riots al porto di Rostock troppi compagni e gente “innocente” è stata colpita dal lancio di bottiglie e pietre. Dobbiamo fare in modo che le persone non restino ferite dal lancio di oggetti dalle retrovie; cosí come dobbiamo trovare il modo per cui le persone che non desiderano trovarsi coinvolte in questo genere di situazioni possano trovare una via di fuga sicura. Militanza responsabile poi, significa che il contenuto delle bottiglie che lanciamo lo abbiamo bevuto la sera prima e non durante la manifestazione. E qui ognuno è pregato di rompere le palle a coloro che bevono alcolici durante le manifestazioni!! Insomma dobbiamo ammettere con noi stessi che non abbiamo raggiunto ancora un buon livello di militanza responsabile, si tratta di una cosa difficile e sicuramente non attuabile a Rostock dove la massa dei manifestanti ci ha decisamente sorpreso
Sia chiaro peró, che la mancanza di esperienza non è né deve essere un buon motivo per rinunciare a manifestazioni militanti.
Sarebbe invece il caso che si formasse una nuova cultura dello stare in manifestazione che porti primo a piú accettazione, secondo a piú sicurezza per tutti e terzo a maggior successo nelle azioni. Ció puó succedere solo se la gente la smette di vantarsi: “si io ero proprio lá e ho menato uno sbirro….” E cose del genere. Necessitiamo invece di un dibattito sulla militanza. Ció puó accadere attraverso testi come questo, discussioni in forum autonomi, durante la preparazione della manifestazione a venire ecc. Le critiche vanno prese sul serio ed elaborate per ottenere una migliore organizzazione della militanza.
Nonviolenza o….pietre come messaggi
Non solo le azioni devono essere organizzate meglio, ma anche la loro comunicazione. Il modo di dire che i “fatti parlano da soli” puó essere vero quando si riescono a raggiungere e distruggere i simboli del potere capitalista. A volte peró come a Rostock non funziona. Non siamo riusciti dopo sabato a comunicare la legittimtá della resistenza militante contro il violento apparato statale capitalista.
Ció ha sicuramente a che vedere con la paura delle possibili conseguenze. Ci sono state numerose richieste di avere un partecipante ai riot di fronte ad una cinepresa. Le possibilitá per comunicare le nostre ragioni attraverso i media c’erano, ma nessuno ha avuto il coraggio o si è sentito in diritto di prendere la parola. È questo il caso del Gruppo Stampa Campinski gestito da gente dell’ala autonoma. Persino la “nostra” stampa ha ignorato alcune nostre dichiarazioni, per esempio, la dichiarazione delle “Brigate Internazionali” (http://www.dissentnetzwerk.org/node/3040) pubblicata in Indymedia solo il 6 giugno, cosí come la dichiarazione del Black Barrio dal campo di Reddelich (http://www.gipfelsoli.org/Newsletter/Militanz/2709.html), pubblicata inrisposta alle accuse e ai tentativi di presa di distanza da parte della leadership di ATTAC.
Questo ci ha dimostrato quanto sia importante usare bene e supportare le nostre strutture quali Indymedia, Radio Libere ecc. Ció significa aprire un grosso dibattito all’interno della sinistra radicale su come trattare con la stampa prendendo atto del suo ruolo di “quarto potere” dello stato. Alla fine sono comparsi in video i soliti noti, coloro i cui commenti si accordavano alla campagna denigratoria fatta in precedenza dai media e con le aspettative del pubblico, si tratta di singoli individui completamente slegati da gruppi e strutture.
Pensiamo che sia molto piú sensato invece, pubblicare opinioni di gruppi e associazioni, frutto di discussioni colleggiali e non quelle di singoli individui, per la maggior parte maschi che danno la loro personale interpretazione di eventi in cui figurano immancabilmente come attori principali. Questo è il nostro punto di partenza per un movimento antagonista. L’obiettivo è di valutare e analizzare gli eventi di Rostock insieme e insieme di pubblicarne i risultati, non di lasciarlo fare ai vari portavoce siano essi autoproclamati o designati.
Persino un giornale della sinistra radicale come “analyse und kritik” ha dato spazio solo a opinioni e commenti di maschi: a partire da Sven Giegold (ATTAC), Olaf Bernau (no lager), Thomas Seibert (IL), Christoph Kleine (IL), Michael Kronawitter, Tim Laumeyer (ALB), Ulrich Brand (BUKO), Dario Azzelini (FelS) fino ad arrivare a Raul Zelik e a Geronimo. Ci sembra decisamente un passo indietro. Non crediamo sia né una coincidenza né puó essere questo il frutto di infinite e ragionate discussioni antipatriarcali il fatto che sia stata data solo a maschi la possibilitá di esprimere la propria opinione. Non si tratta adesso di fare accuse di sessismo a vanvera ma almeno un minimo di sensibilitá, è sicuramente mancata.
Infine un pó di autocritica. Non solo abbiamo sperato ma abbiamo voluto i riots. La reazione dei media è stata assolutamente prevedibile; ma con il nostro silenzio abbiamo lasciato spazio ai vari portavoce delle varie ONG, di ATTAC, di IL che non hanno fatto altro che cercare di distanziarsi. Dobbiamo assolutamente confrontarci con il dilemma di come comunicare la nostra prassi militante durante le manifestazioni e dopo, come sostenerla nei confronti dei media.
Dress for the moment
Anche se rifiuta di saperlo possiamo conferamere I sospetti di Ulrich Brand (BUKO):" Sospetto (anche se non so e non voglio sapere) che coloro che manifestano col blocco nero e persino coloro che prendono parte alle azioni siano per il resto del loro agire politico molto simili agli altri manifestanti". Essere militanti attivi in una manifestazione non é una forma di identitá, quantomeno non dovrebbe esserlo.
É una tattica con vantaggi e svantaggi come ogni tattica. Alle volte é utile alle volte no. A Rostock la sua utilitá é stata di dare alla contestazione al G8 un carattere “non-conciliante”.
Per una resistenza militante emancipatoria
UNITED COLORS OF RESISTANCE 01 08 07
Source: cactuz@so36.net